6 novembre 2013

"Da qui a domani" di S.M.S. Miro Sassolini: un disco che scava nel profondo

S.M.S. è il nome del nuovo progetto musicale di Miro Sassolini, storica ed indimenticata voce della new wave italiana, che, dopo aver intrapreso negli ultimi anni altre e diverse esperienze artistiche, è tornato al canto, quale forma primigenia di espressione. Da qui a domani (2012, Black Fading Records) è il titolo del primo lavoro di questo collettivo, che unisce, oltre al citato Miro Sassolini, la poetessa Monica Matticoli, Cristiano Santini, Federico Bologna e Daniele Vergni. Si tratta indubbiamente di una proposta interessante, di un disco di non facile assimilazione, da ascoltare più e più volte, preferibilmente in cuffia.
Sopra un tappeto sonoro minimale, prevalentemente elettronico, si staglia la riconoscibile voce di Sassolini, che ha il merito di dare sostanza e corpo a testi di rara suggestione e poesia. Si può quindi affermare che lirismo, elettronica e interpretazione vocale costituiscono i tre capisaldi di questo lavoro, perfettamente fusi in un inestricabile intrico armonioso, tanto che nessuno dei tre elementi potrebbe brillare di luce propria. Ma forse è proprio la voce di Miro, nella sua concreta tangibilità e teatralità, a tenere le redini del discorso ed a guidare l’ascoltatore nelle pieghe del suono. Basti ascoltare Disvelo, una delle tracce più interessanti dell’album; è qui evidente che le parole e la musica sono al servizio di un’interpretazione vocale sentita, profonda ed emozionante.
Senza voler fare paragoni con altri artisti, che appaiono impropri data l’originalità di quest’opera, è tuttavia possibile rintracciare influenze colte nei testi e nella musica: dalla tradizione cantautoriale italiana, passando per la dark wave, l’elettronica e il migliore rock italiano degli anni ’90. Insomma, un disco denso di suggestioni, che dà l’idea di non essere un prodotto occasionale, destinato ad una rapida obsolescenza, ma un’opera meditata, che proprio nel non essere attuale trova il suo punto di forza. Dodici le tracce che compongono il disco, su cui svettano, per un’evidente compiuta commistione di parole, musica e interpretazione, Disvelo, Rimane addosso la veste lacerata del risveglio e Mai troppo chiuso il tempo. E proprio in quest’ultimo pezzo è contenuto il verso “averti inventata / vorrei, nel mio grembo”, che forse rappresenta il punto lirico più alto dell’album, nell’idea del sentimento dell’amore che diventa desiderio di generazione.
“Una droga per il mio cuore malato” ha scritto un anonimo utente su You Tube per definire questo lavoro, dimostrando di averne capito il senso più profondo. Questo è prima di tutto un disco d’amore, parola spesso abusata o usata impropriamente, ma che è l’unica in grado di dare luce nella notte sempiterna di questi tempi e della nostra anima. E Miro lo ha capito.
La copertina dell'album.

2 commenti:

  1. Davvero un gran bel disco, un'operazione interessante...e fammelo dire, finalmente una recensione che non mette in mezzo i soliti diaframma..
    vai miro!
    giangi72

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  2. Quando la grande musica incontra un vero intenditore, non può che nascere una recensione come questa, che sa scavare nel profondo e cogliere l'essenza stessa del disco, "denso di suggestioni", come scrive Alfonso

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